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L'Uso delle Parole



Quando ci si trova ad avere un litigio con una persona cara (famigliari, amici, compagn* ), non è mai una cosa piacevole.  Qualsiasi sia il fattore scatenante dell’accesa discussione, le parole che spesso usiamo, o che ci vengono rivolte, non corrispondono a ciò che realmente vorremmo esprimere.  Gli stati emotivi suscitati sono molteplici e non sempre riconoscibili nel momento del litigio. Per esempio, quando la rabbia prende il sopravvento potremmo non riconoscerne l’immediata l’intenzione, ma genera un flusso di parole che ne genera altre, fino, nei casi più gravi, a perdere il controllo di ciò che si dice. Ma è davvero sempre così? Davvero si “perde il controllo” di ciò che si dice? Oppure il litigio si trasforma in un pretesto per dire ciò che si pensa realmente? Vecchi rancori, questioni apparentemente risolte, riemergono in quel contesto, come se fossero il vero motivo del litigio. Dunque si potrebbe pensare che il fattore scatenante possa essere un semplicissimo (e a volte ingannevole) pretesto per parlare di tutt’altro, recriminare storie oramai archiviate da tempo, lati del carattere dell’altr* che non ci piacciono e non condividiamo, e per questo è inaccettabile che nell’agosto ’98  tu ti sia scordat* di fare gli auguri a mia madre che compiva cinquanta anni, e si sa che quello è un traguardo importante nella vita. O che il pranzo che hai cucinato oggi non era così “light” come promesso, ma anzi mi sta tornando tutto su per lo stomaco da almeno un paio d’ore. E sono le 20 e non posso cenare causa tuopranzopesante. O che ti si ricorda che non ti sei laureat*, dopo tutto quello che abbiamo fatto per te, neanche questa soddisfazione ci dai, meno male che esistono i figli degli altri che compensano bene queste aspettative. Cosa hai fatto fino adesso? Sei soddisfatto della tua vita? Ma , timidamente fai notare, stavamo stilando il menù del pranzo di domenica prossima e non eravamo d’accordo sul come fare o non fare i carciofi…Ecco fatto, anche questa giornata volge al termine senza un sorriso, che fino a quando non c’erano i carciofi di mezzo, il menù di domenica sarebbe stato perfetto… ma che è successo? Veramente nel ’98 ho dimenticato il compleanno dei cinquantanni...sono passati ventanni, non me lo ricordo più…vabbè dai, forse ha ragione, tanto non me lo ricordo. E il pranzo pesante? Era solo un piatto di pasta al pomodoro, forse mi aveva detto che non voleva mangiare i carboidrati a pranzo  e me ne sono dimenticat*…E’ vero, non sono riuscit* a laurearmi, ma a me non è mai interessato farlo…certo le tasse universitarie… Sono oggettivamente una brutta persona, senza progetti né responsabilità ed effettivamente non sono soddisfatt* della mia vita. Ha ragione senz’altro. Ma i carciofi, cosa hanno a che vedere con tutte queste faccende personali? Li avrei fritti per praticità, ma è altrettanto vero che sono buoni anche alla giudia…si è sentit* ingannat* dal pastellato fritto. Una coltellata alle spalle. 
Buona questa cioccolata calda, attenua tutto questo ardore, questa tensione che proprio oggi no, non ci voleva. Oggi che è stata una giornata faticosa, ma positiva. Perché la ricaduta di giugno non ha lasciato grandi tracce, sono proprio soddisfatta! “Ma sono io ad essere molto soddisfatto del tuo stato di salute!”. Sul viso del mio neurologo il suo sorriso si fa più ampio, più espressivo, contento per avermi trovata bene. Parole che mi riempiono di felicità e che incredibilmente, ti fanno sentire ancora più soddisfatta e appagata di quando sono arrivata! Caspita se ero tesa oggi, sentirsi meglio e stare, di fatto, effettivamente meglio è una gioia immensa per me dopo diciotto anni di malattia! 
La verità è sempre la stessa: la malattia è tua e solo tu puoi comprenderne lo stato. Tu e il tuo amato neurologo, che ti permette di dire la tua, di confrontare con lui la tua situazione, anche personale. Che ti permette di essere un libro aperto e che non devi avere il timore di utilizzare il termine bonariamente sbagliato, ma che ti aiuta a trovare le parole giuste anche quando pensi di non averne. 
La verità è che solo chi vuole veramente avvicinarsi a te, aiutarti, essere solidale con la tua esperienza può darti una mano a comprendere e superare le difficoltà che non condividi con nessuno perché nessuno vuole davvero condividere con te. E una persona cara può pensare di comprendere quello che stai passando, ma, a volte non utilizza le parole giuste per te. 
“Sono felice per te”, “ grazie per esserti confidata con me”, “ tutto bene a casa?”. Ed è qui che ti senti a casa. 
Ripensandoci, forse non ho dimenticato il compleanno dei cinquantanni, forse il pranzo di oggi non era poi così pesante (io ho digerito benissimo!), e forse il fatto che non mi sia ancora laureata dipenda da tutti altri fattori che non sono l’università di per sè. E daje per tutti i laureati, sono felice per loro e per i loro successi!
Cosa ho fatto fino ad ora? Ho cercato la tranquillità, in una malattia mutante che non ti vuole dare pace, ma che hai accettato facendo troppe domande alle quali nessuno ha mai risposto. Fino a che ci siamo incontrati: io e il mio neurologo. 
“Chi parla male, pensa male e vive male: le parole sono importanti” diceva Nanni Moretti in Palombella Rossa. Le parole sono importanti in tutti i contesti della nostra vita: quando litighiamo, quando amiamo e sappiamo di essere amati. E spesso possono ferire e destabilizzare, oppure far tornare quel sorriso che si era nascosto per colpa di un carciofo.
P.S.: scegliete le persone che vi considerano, medico compreso.
P.s.: mi permetto di consigliare la lettura di “Comunicare e curare. La comunicazioni in medicina: dalla diagnosi alle cure.” A cura di Guido Biasco AA.VV.. ASMEPA Edizioni. Per gli addetti ai lavori, ma anche un grande spunto di riflessione per noi pazienti, famigliari, amici e compagn* per aprire un dialogo costruttivo tra i vari interlocutori.

A presto!

Sarah

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