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Cellule Staminali:Terni, primo ‘ok’ a trapianto a malati di Sla: «Nessun rigetto. Ora seconda fase»

Articolo del 24 giugno 2013 preso da www.umbria24.it


Angelo Vescovi: «Nessun evento avverso nell'arco di un anno da quando sono state inoculate. Soddisfatti di avere mantenuto la promessa ai pazienti»

A sinistra, il professor Angelo Vescovi



di Re.Te.

Un primo passo, ma importante. Le cellule staminali cerebrali, moltiplicate in laboratorio dall’equipe del professore Angelo Vescovi e trapiantate in sei pazienti malati di sclerosi laterale amiotrofica (Sla), non sono state rigettate dall’organismo dei pazienti nei quali sono state inoculate nell’arco di tempo di un anno.

La sperimentazione L’equipe di ricercatori, che opera nei laboratori dell’azienda ospedaliera di Terni, era partita dalla scoperta che l’inoculazione di cellule staminali, in aree interessate da una patologia, blocca il progredire della patologia stessa e nella fase sperimentale appena ultimata «non sono stati rilevati eventi avversi importanti imputabili alla procedura chirurgica o alle cellule trapiantate», ha spiegato il professore Vescovi, tanto che l’istituto superiore di Sanità e l’agenzia italiana del farmaco «hanno autorizzato l’avvio della seconda parte della sperimentazione», che prevede interventi ancora più approfonditi.

Angelo Vescovi: «Siamo soddisfatti e orgogliosi di aver mantenuto la promessa fatta – ha spiegato il professor Vescovi – ai nostri sostenitori, ai malati e alle loro famiglie, di avviare una sperimentazione clinica di terapia cellulare sulla Sla. La prima fase della sperimentazione è stata orientata esclusivamente alla valutazione della sicurezza delle procedure di trapianto e dell’innocuità delle cellule innestate». Non si è trattato, cioè, «di valutare l’efficacia del trapianto per influenzare il decorso della malattia o trovare una terapia».

Le speranze 
Il passo successivo secondo il ricercatore potrebbe avvenire proprio «nella seconda fase della sperimentazione, aumentando il numero di pazienti e la frequenza degli interventi (uno ogni due o tre settimane, invece che uno circa al mese) ed eseguendo il trapianto nella regione midollare cervicale, più complesso, ma diretto a una regione del midollo più rilevante per il decorso della malattia e quindi foriero, da un punto di vista terapeutico, di risultati più promettenti».

La tecnica 
Messa a punto nel 1996 «impiega cellule staminali cerebrali scevre da qualunque problematica etica, poiché provenienti da un tessuto cerebrale prelevato da feti deceduti per cause naturali, utilizzando una procedura analoga a quella della donazione volontaria di organi negli individui adulti». Le cellule «prodotte nella Banca delle staminali cerebrali di Terni, saranno sufficienti per l’intera sperimentazione in corso sulla Sla e per quelle successive che la stessa equipe sta già organizzando su altre malattie neurodegenerative, in collaborazione anche con cliniche europee e statunitensi».

Il trattamento 
In questo primo momento lo studio «è stato effettuato nei 6 pazienti reclutati, trapiantandole cellule staminali cerebrali umane nel midollo spinale lombare. In particolare, secondo il protocollo, i primi 3 pazienti hanno ricevuto l’inoculazione in 3 punti da un solo lato del midollo mentre i rimanenti 3 pazienti hanno ricevuto l’inoculazione bilateralmente per un totale di 6 punti, ricevendo, rispettivamente 2,5 e 5 milioni di cellule in totale. Le cellule staminali sono state trapiantate in prossimità delle cellule nervose chiamate motoneuroni, che nella SLA muoiono gradualmente, paralizzando progressivamente i muscoli, fino a causare la morte del paziente».

La sicurezza 
Dal punto di vista della sicurezza della tecnica utilizzata e della procedura chirurgica, «non si sono manifestate complicanze intraoperatorie e anestesiologiche. Nell’immediato post-operatorio nessun paziente ha mostrato disturbi. In media i pazienti sono stati dimessi dal reparto di neurochirurgia dopo soli 10 giorni e avviati ai reparti di riabilitazione». Ma soprattutto «nei pazienti trattati finora nell’ambito dello studio italiano non è stato osservato nessun effetto avverso apprezzabile. Questo risultato è significativamente migliore rispetto a quanto riportato nell’analogo studio americano condotto alla Emory University di Atlanta».

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